Lazio | Vallemaio (FR)
- campagna d'Italia
Il luogo e le vicende
La storia di Vallemaio, adagiato su un colle ai piedi del Monte Maio, fu segnata dagli sviluppi della Seconda Guerra Mondiale dopo l’occupazione tedesca dell’Italia. Per fermare l’avanzata da sud delle truppe alleate guidate dal generale Alexander, dopo lo sbarco di Salerno (9 settembre 1943), il feldmaresciallo tedesco Albert Kesselring ordinò la costruzione della Linea Gustav dall’Adriatico al Tirreno, che sul versante tirrenico, lungo il fiume Garigliano, aveva un baluardo strategico proprio sul Monte Maio. Dal 23 settembre tutto il territorio intorno a Vallemaio fu occupato dalle truppe tedesche, e intorno al centro abitato furono allestiti ricoveri o scavati camminamenti, trincee, postazioni nelle rocce.
La popolazione locale fu colpita duramente da quella guerra totale, perché subì i rastrellamenti degli uomini abili al lavoro, la requisizione delle abitazioni sparse nelle campagne, la razzia di animali e viveri.
A fine ottobre fu ordinato lo sgombero del paese: molti abitanti si trasferirono nella contrada Pastinovecchio o in altre contrade isolate, lontane dalle strade carrozzabili. Durante l’inverno le restrizioni tedesche nei confronti degli abitanti della zona divennero sempre più intense, tanto da provocare episodi di resistenza, dapprima passiva, poi attiva e organizzata: si costituì a Vallemaio un centro di azione partigiana, con i gruppi radio, di comunicazione con gli alleati, organizzati dal capitano Antonio Gagliardi, noto col nome di battaglia di T13.
I tedeschi, nel corso di un rastrellamento il 9 maggio 1944, uccisero, in un casolare in località Pastinovecchio, il medico condotto del paese, Domenico Fargnoli, ed alcuni contadini con i loro bambini, tra i tre mesi ed i cinque anni di età. A seguito degli insuccessi alleati per lo sfondamento delle linee difensive tedesche, nell’inverno 1943-1944, e del tragico bilancio delle prime tre battaglie di Cassino, nel mese di maggio del 1944 i comandi alleati avviarono l’operazione Diadem, affidando ai reparti franco-coloniali agli ordini del generale Alfonse Juin il compito di superare le difese tedesche impadronendosi, in un primo momento, di Monte Maio, per poi aggirare la Valle del Liri occupando il Monte Petrella nel gruppo montuoso degli Aurunci. Mentre il II Corpo d’armata polacco avviava una manovra a tenaglia per la presa di Montecassino, il generale Juin guidò le truppe algerine, tunisine e marocchine – noti come Goumiers – all’attacco dei rilievi degli Aurunci. Dopo la conquista di Monte Faito, l’11 maggio, a seguito di aspri combattimenti e a prezzo di molte perdite, le divisioni francesi, formate da gruppi di fucilieri marocchini riuscirono, combattendo anche all’arma bianca, a conquistare Monte Maio. Il 14 maggio, mentre la II° divisione marocchina del generale Dody occupava il paese di Vallemaio, la prima divisione risalì verso nord, conquistando i paesi di Sant’Andrea, Sant’Ambrogio e Sant’Apollinare. Dopo quattro giorni di battaglia, il cardine meridionale della Linea Gustav era ormai superato, mentre i polacchi, da nord, avanzavano alla conquista di Montecassino.
Ai successi militari e al passaggio delle oprazioni lungo il fronte corrispose un’ondata di violenza contro i civili ad opera soprattutto dei Goumiers. Dal 15 maggio al 1 giugno si verificarono saccheggi, razzie, omicidi, e soprattutto stupri su migliaia di donne di ogni età, e in alcuni casi anche su uomini e bambini. Questi episodi tragici, noti come “marocchinate”, accaddero in un clima in cui le condizioni di guerra imponevano una carica di violenza altissima, facendo sprigionare una spirale inarrestabile degli oltraggi contro i civili ai quali i soldati francesi non seppero o non vollero opporsi, e ancora oggi restano una ferita aperta nella memoria del luogo.
Il Museo delle ombre è stato realizzato da Vincenzo Bianchi, professore all’Accademia delle Belle Arti di Firenze, su richiesta dal sindaco con l’obiettivo di valorizzare il centro storico in gran parte distrutto dalla guerra. Si trova nella chiesa sconsacrata del Ss. Rosario. Nel progetto di Bianchi, esso si inserisce nel percorso del “museo viaggio”, che inizia a Cervara di Roma e si conclude proprio a Vallemaio, e coinvolge tredici musei in Italia e nel mondo ispirati ad altrettanti personaggi. Questo di Vallemaio è dedicato al poeta e scrittore argentino Jorge Louis Borges, la cui opera guida la rappresentazione visiva della guerra.
Per la realizzazione del museo l’artista raccolse, anzitutto, racconti e ricordi dei cittadini del paese: lo stesso nome deriva da uno di questi (“era notte, ma sembrava giorno e le ombre si vedevano sulla montagna e mettevano paura”), e la tragica esperienza del postino, colpito da un proiettile e seppellito ancora vivo, mentre i piedi di soldati facevano pressione sul suo corpo.
Nella progettazione del museo, le testimonianze locali si sono intrecciate con gli scritti di Jorge Luis Borges e con i ricordi personali di Vincenzo Bianchi che, ancora bambino, vide nei pressi di Montecassino, poco dopo la fine dei combattimenti, due soldati che con un telo bianco raccoglievano i resti dei caduti.
Nel Museo delle ombre i dipinti e le sculture di Bianchi non hanno un titolo, per permettere una piena libertà di interpretazione da parte del visitatore, inevitabilmente condizionato dalla propria cultura e dalla propria capacità di riflessione. Per l’artista il progetto del museo è esso stesso un percorso in continuo mutamento, che si arricchisce grazie al contatto tra il pensiero espresso nell’opera e le riflessioni dei visitatori. All’ingresso della ex chiesa, dove la pietra è l’elemento dominante, si trova la targa che Vincenzo Bianchi ha dedicato a Borges.
All’interno, attraverso un intreccio di luci ed ombre, si manifesta la contrapposizione tra vita e morte. Prima di scendere nella cripta, sotto la volta dell’antica sagrestia, si può ammirare uno dei rari esempi mondiali di “cimitero pensile” cattolico. Scendendo gli alti gradoni che conducono alla cripta, sotto la nicchia dove erano poste le salme, si giunge all’area espositiva dove quadri e sculture e la stessa suggestione degli ambienti trasmettono l’eco di eventi di morte e dolore. Risaliti nel giardino della chiesa, dove lo sguardo può spaziare sul panorama dei monti Aurunci, i visitatori incontrano altre opere dell’artista: il viaggio torna dall’ombra alla luce, simbolo della sacralità della vita.
Fuori del paese, grazie al recupero di alcuni blocchi di pietra nelle cave di marmo abbandonate, alcuni monoliti scolpiti dagli allievi di Vincenzo Bianchi hanno realizzato un percorso rupestre che sale lungo le pendici di Colle Agrifoglio fino al suo punto più alto, in Località Vadorsa, nell’Altopiano di Vallaurea, dove il 13 maggio 1944 si verificò lo sfondamento della Linea Gustav da parte delle truppe del generale Juin, dove è stata posta la Stele della Pace. Alta quasi 3 metri, è stata realizzata in pietra di marmo bianco tibetana. Dalla roccia fuoriescono volti umani sofferenti che, con movimento a spirale, svettano verso il cielo: lo spirito delle vittime, simbolicamente, si eleva verso il perdono, partecipando alla costruzione di un tempio della pace.
Inoltre, in paese sono state realizzate anche sette porte in cemento (le “porte della conoscenza”), che rappresentano le tappe di un viaggio spirituale nella storia.
In località Pastinovecchio vi è il monumento inaugurato il 9 maggio 1998 e dedicato al medico condotto del paese, Domenico Fargnoli e ad alcuni contadini ed alle loro famiglie (12 persone) trucidati il 9 maggio 1944.
- Jean Robichon, Le Corps Expéditionnaire Français en Italie, Parigi 1981.
- Gabriella Gribaudi (a cura di), Terra bruciata. Le stragi naziste sul fronte meridionale, L’ancora del Mediterraneo, Napoli 2003
- Tommaso Baris, Tra due fuochi. Esperienza e memoria della guerra lungo la linea Gustav, Roma-Bari, Laterza, 2003
- Maria Porzio, Arrivano gli alleati! Amori e violenze nell’Italia liberata, Laterza, Roma Bari 2012