Perosa Argentina Mostra sulla resistenza delle Valli Chisone e Germanasca

Piemonte | Perosa Argentina (TO)

Il luogo e le vicende

A cinquanta chilometri da Torino, le valli Chisone e Germanasca fanno parte delle valli valdesi, dove la lotta di Liberazione è legata alla storia della chiesa valdese e ai suoi rapporti con il regime fascista, come si può osservare anche nel museo storico valdese di Torre Pellice, a poca distanza da Perosa Argentina. Nell’autunno-inverno 1943-44, alpini dei disciolti reggimenti, montanari e antifascisti saliti dalla pianura costituirono la 1ª Divisione alpina autonoma della Val Chisone, articolata in diverse brigate, che ebbe come comandante il sottufficiale Maggiorino Marcellin, militare proveniente dalla campagna di Grecia e famoso alpinista e sciatore. Nei mesi che seguirono, la lotta partigiana fu caratterizzata soprattutto dall’ostinata difesa delle baite e dei vecchi fortini di frontiera che i resistenti avevano scelto come rifugio, nonostante le continue imboscate e i rastrellamenti tedeschi. Ricordiamo, ad esempio, quello del marzo 1944, quando, dopo sei giorni di resistenza a nazisti e fascisti che risalivano la valle facendosi scudo con la popolazione e incendiando baite e villaggi, le bande furono costrette a ripiegare e a scendere nella vicina val Troncea. Ciò nonostante, prima dell’inizio dell’estate, i partigiani riuscirono a occupare la valle del Chisone ‒ da Perosa Argentina al versante valsusino del colle del Sestrières ‒ dando vita a una zona libera che, fra alterne vicende, rimase tale da maggio ad agosto 1944, quando nuovi rastrellamenti costrinsero gran parte di loro a ripiegare. Alcuni, passando dalla Francia per poi tornare in Italia, cercarono di tenere la difesa del colle Mayt al fine di consentire lo sperato, ma non verificato, ingresso in Piemonte delle truppe alleate che nel frattempo erano sbarcate in Provenza. Durante uno di quei combattimenti, tra gli altri trovò la morte anche il comandante Enrico Gay, di Perosa Argentina, che fu catturato dai fascisti per essere impiccato pubblicamente nella piazza di Perosa, ma che morì prima per le ferite riportate. L’ultimo atto della guerra in val Chisone fu costituito dall’azione che i partigiani mossero contro le truppe tedesche e fasciste dislocate nell’alta val Susa che, per sottrarsi ai mitragliamenti aerei, non erano scese verso la pianura ma avevano risalito il colle del Sestrières per raggiungere Pinerolo e Torino lungo la Val Chisone. Nella notte tra il 26 e il 27 aprile tutta la valle, fino alle porte di Pinerolo, poteva considerarsi in mano ai partigiani.

La piccola mostra sulla Resistenza di Perosa Argentina è stata allestita nella primavera 1990 dalla locale sezione dell’Anpi. Sia la sezione che la mostra hanno sede negli ambienti di un vecchio edificio ottagonale all’interno del parco “Enrico Gay”, dove si trovava il cotonificio Valle Susa. Lo stabile, su due piani, era la serra del cotonificio; dopo la ristrutturazione il Comune lo ha affidato alla locale sezione Anpi che ne ha ricavato una sala riunioni a piano terra e una esposizione fotografica e documentaria al secondo piano. Qui, su qualche pannello di legno, sono state raccolte diverse fotografie e copie di documenti che raccontano la storia della Resistenza in Val Chisone. Le immagini, tutte corredate di didascalie, ritraggono per lo più gruppi di partigiani locali, ma testimoniano anche con crudezza la violenza delle rappresaglie naziste e fasciste sferrate contro le abitazioni e le famiglie che offrirono rifugio ai “ribelli”. Inoltre, alcune bacheche sono dedicate alla storia generale della Resistenza e della Deportazione, con riproduzioni di alcune tra le immagini più note della Seconda guerra mondiale. Presso il parco in cui ha sede il museo e in via Roma sono visitabili anche i due rifugi antiarei di Perosa Argentina, costruiti a partire dal 1941 a protezione degli abitanti del paese durante i bombardamenti contro le industrie belliche. Il primo rifugio poteva ospitare da 61 a 82 persone, l’altro, più capiente, fu costruito due anni dopo in seguito alle ripetute ed insistenti richieste della popolazione. Inoltre, a pochi chilometri da Perosa Argentina, a Villar Perosa − dove tutto è legato al nome degli Agnelli, perché sede di una delle aziende “storiche” della famiglia − sono ancora oggi visitabili i grandi rifugi antiaerei fatti costruire da Giovanni Agnelli all’inizio del 1943 per gli abitanti del paese e per i dipendenti della sua fabbrica, che allora si occupava della produzione bellica. Dopo la guerra, i rifugi − che potevano ospitare fino a 3.500 persone, anche per diversi giorni − furono depredati e utilizzati in modo improprio per anni, fino a quando, nel 1995, il Comune di Villar Perosa, in accordo con la famiglia Agnelli, ancora proprietaria dei rifugi, ne decise la riapertura al pubblico. Peraltro, in quel periodo, la loro vicenda aveva iniziato ad avere grande diffusione, aumentata incredibilmente con la pubblicazione, nel 1955, del libro I miei sette figli e, in un secondo momento, con l’uscita nelle sale del film I sette fratelli Cervi di Gianni Puccini (1968). In particolare la pubblicazione del libro fu un tassello fondamentale per la comprensione delle dinamiche legate alla memoria pubblica della vicenda della famiglia Cervi e, in modo assolutamente contiguo, dell’antifascismo. Il testo era stato scritto da Alcide Cervi e dal funzionario del partito comunista Renato Nicolai e fu tradotto in sei lingue tra cui il russo ed il cinese. Inizialmente il ruolo di Nicolai era dato come marginale, quasi lo avesse scritto sotto dettatura poi, con il passare degli anni, diventò sempre più centrale e definito il suo ruolo. Ciò nonostante, la crescente fama della vicenda fece sì che sempre più persone sentissero il desiderio di conoscere i luoghi protagonisti delle vicende raccontate nel libro e fu in questo modo che ebbe origine quello che è stato più volte definito un vero e proprio “pellegrinaggio laico”: gruppi di persone, singoli cittadini o rappresentanti di associazioni iniziarono a recarsi a casa Cervi per ascoltare il racconto dalla voce del vecchio Cide e per lasciare un dono, segno del proprio passaggio. Tra i doni più significativi, se non altro per comprendere le dimensioni del mito dei sette fratelli, figurano un modellino di sputnik donato da una delegazione russa ed una palla da baseball firmata dall’intera nazionale cubana. Nel 1961, quindi, una stanza della casa dei Campi Rossi fu designata a “luogo del racconto”: l’attuale sala audiovisivi, con il fondamentale contributo del Partito Comunista, venne allestita a spazio museale dedicato al racconto di papà Cervi. Al suo interno vennero collocati una serie di oggetti e documenti la cui funzione avrebbe dovuto essere quella di supportare in qualche modo il racconto, oltre che di attestarne la veridicità. La maggior parte del patrimonio conservato nel museo ‒ fatta esclusione per gli oggetti appartenuti alla famiglia ‒ è giunta attraverso il dono, e questa particolarità di acquisizione spiega la sua apparente eterogeneità: strumenti del lavoro contadino, documenti della famiglia, fotografie, libri, una miriade di doni spesso privi di qualsiasi valore oggettivo. Ma, se si considera la vicenda della famiglia Cervi da tutti i punti di vista da cui può essere analizzata ‒ etnografico, storico ed antropologico ‒ il patrimonio conservato risulta assai meno eterogeneo.

L’unica porzione di patrimonio che possa considerarsi preziosa nel senso economico del termine è la raccolta d’arte. La sua formazione risale agli inizi degli anni ’60 e comprende solo autori di età contemporanea quali, per citarne alcuni, Aldo Borgonzoni, Renato Guttuso ed Ernesto Treccani. Gran parte delle opere sono giunte al museo come donazioni degli stessi artisti o di istituzioni, e sono ascrivibili alla grande stagione della pittura sociale sviluppatasi tra gli anni ’50 e ’60. La maggior parte delle opere possedute si richiamano a tematiche resistenziali, del lavoro, e della solidarietà e, per la quasi totalità, sono ispirate direttamente alle vicende della famiglia Cervi. Nel 1975 il piccolo museo venne smantellato con l’idea di creare un nuovo allestimento che tenesse conto e, in qualche modo cercasse di colmare, il vuoto lasciato dalla morte di Alcide, almeno sul piano del racconto. Dal 1975 ai primi anni ’90 si susseguirono diverse ipotesi di riallestimento, anche molto ambiziose, ma il museo rimase sostanzialmente invariato fino al nuovo allestimento, il cui progetto fu presentato nel 1997. Inaugurato nell’aprile del 2001, questo nuovo allestimento ha rappresentato un enorme salto di qualità. Ora il percorso è articolato in due nuclei tematici suddivisi secondo la funzionalità della casa contadina. Nella parte “produttiva” della casa ‒ dove in passato trovavano spazio stalle e fienili ‒ sono state collocate le sezioni dedicate al lavoro contadino, all’antifascismo, alla Resistenza, all’eccidio dei sette fratelli ed alla memoria della famiglia nell’Italia del dopoguerra; nella parte della casa dedicata all’abitazione troviamo invece la ricostruzione di alcuni ambienti della casa contadina (cucina, cantina e camere da letto), oltre alla sala audiovisivi. Il museo, dunque, appare oggi come un affascinante ibrido tra museo storico e museo della civiltà contadina, tramite una trama che tiene costantemente legate la Storia e le storie. Nell’ottica poi di recuperare il legame della comunità con il proprio territorio, è stato progettato un parco agronomico il cui obiettivo sarà quello di rendere fruibile il paesaggio agricolo della media pianura reggiana tra le due guerre, cercando di mantenere quello sguardo aperto e multidisciplinare che ha caratterizzato il nuovo allestimento e che impronta le attività organizzate dal museo. Il museo è gestito dall’Istituto Alcide Cervi, costituito il 24 aprile 1972 per iniziativa della provincia di Reggio Emilia, dell’Alleanza nazionale contadini, dell’Anpi e del Comune di Gattatico.

  In Auto: da Torino tangenziale sud, immettersi autostrada del Pinerolese, raggiunta Pinerolo, si prosegue verso Sestrière per circa 20 km.
  In treno: autoservizi Sadem da Torino-Pinerolo- Perosa Argentina-Sestriere.
Comune di Perosa Argentina