Estero - Grecia | Argostoli (KE)
- stragi
Il luogo e le vicende
Cefalonia (Kefallonia) è l’isola principale dell’arcipelago greco delle Ionie, collocate dinanzi alle coste pugliesi. Occupata dagli italiani, come le altre isole Ionie, nell’aprile del 1941, Cefalonia ospitava, nell’estate del 1943, circa 11.500 soldati e 525 ufficiali appartenenti alla divisione di fanteria Acqui. Nell’agosto di quell’anno giunsero sull’isola anche 1.800 tedeschi, inviati dal comando supremo della Wehrmacht per contribuire alla difesa dell’avamposto, minacciato da un eventuale sbarco nemico in Grecia o nella penisola balcanica dopo il successo delle operazioni alleate in Sicilia. In realtà i tedeschi avevano il compito di sostituire i camerati italiani nel caso di una probabile uscita di questi ultimi dalla guerra.
L’isola di Cefalonia è il teatro della strage numericamente più imponente attuata dai tedeschi contro gli italiani dopo l’armistizio del settembre 1943. All’8 settembre 1943 la Acqui presidiava l’isola con la maggior parte dei propri effettivi, ad eccezione del 18° reggimento e di qualche reparto minore dislocati nella vicina Corfù. Dalla Acqui dipendevano anche i reparti italiani di marina, guardia di finanza e carabinieri stanziati sulle isole. La divisione era comandata dal generale Antonio Gandin, già ufficiale di stato maggiore. I 1.800 tedeschi giunti in agosto erano invece guidati dal tenente colonnello Hans Barge.
La notizia dell’armistizio arrivò a Cefalonia nella serata dell’8 settembre. La mattina successiva il comando divisione ricevette però l’ordine del generale Carlo Vecchiarelli, comandante delle truppe italiane in Grecia, che imponeva di cedere le armi ai tedeschi. L’ambiguità e la contraddittorietà delle indicazioni date ai soldati italiani a Cefalonia riassumono i tratti generali di una situazione complessiva di estrema difficoltà, all’interno della quale si verificò il crollo delle forze armate italiane ma anche, dove e quando possibile, la loro prima rinascita.
Dal 9 al 15 settembre i comandi italiano e tedesco dell’isola intavolarono trattative per giungere a un accordo relativo alla sorte della Acqui, della quale gli ex camerati pretendevano le armi. I tentativi di accordo proseguirono per diversi giorni nonostante l’arrivo di ordini inequivocabili dall’Italia – l’11 settembre il Comando Supremo ordinava a Gandin di respingere le richieste di Barge – e i movimenti di truppe tedesche sull’isola, movimenti in realtà vietati dall’obbligo del mantenimento dello status quo stabilito tra i comandi. Nel frattempo, tra i soldati italiani si diffondeva un notevole malcontento per l’atteggiamento di Gandin e del suo stato maggiore, che sembravano disposti alla resa nonostante l’evidente superiorità numerica dei reparti della Acqui rispetto a quelli tedeschi.
Anche la popolazione greca dell’isola faceva pressioni sugli italiani, promettendo il proprio appoggio nel caso di un combattimento contro i tedeschi.
Nella notte tra il 14 e il 15 settembre il comando italiano, ascoltati in precedenza i cappellani della divisione, favorevoli alla resa, e gli ufficiali italiani invece non propensi alla cessione delle armi, fece in modo che i reparti venissero consultati sul da farsi. La maggioranza dei soldati si espresse a favore del no alla cessione delle armi.
Nella mattinata del giorno successivo, quindi, il comando della Acqui respinse l’ultimatum tedesco, decretando la fine delle trattative e l’inizio della battaglia di Cefalonia.
Questa si svolse dal 15 al 22 settembre. Gli italiani riuscirono ad avere la meglio fino a quando per i tedeschi non giunsero consistenti rinforzi dalla terraferma, e tra loro i famigerati cacciatori da montagna della Divisione Edelweiss, già responsabili di stragi ed eccidi di popolazione in Unione Sovietica e nella Grecia continentale.
Insieme ai cacciatori – e agli stukas, che distrussero le difese italiane, a favore delle quali non intervenne alcun mezzo aereo – arrivò a Cefalonia un ordine di Hitler che imponeva ai propri soldati di “non fare prigionieri” tra gli italiani dell’isola. Ciò significò, per centinaia di migliaia di soldati, la fucilazione o il mitragliamento non appena catturati, man mano che la battaglia volgeva sempre più a favore dei tedeschi. I numeri di questa immensa strage indiscriminata – Cefalonia fu l’unico luogo in cui, oltre agli ufficiali, vennero sterminati per rappresaglia soldati di ogni ordine e grado – sono e resteranno incerti, data anche la distruzione sistematica dei cadaveri, che vennero perlopiù bruciati, inumati in cavità naturali o lasciati insepolti alla mercé delle intemperie e degli animali selvatici.
La divisione si arrese il 22 settembre e tra il 24 e il 25 settembre vennero fucilati quasi tutti gli ufficiali superstiti, a partire dal generale Antonio Gandin, ucciso, come la gran parte dei suoi ufficiali, alla Casetta rossa, in una località poco fuori il capoluogo dell’isola, Argostoli. I corpi di queste vittime furono fatti affondare in mare.
E in mare trovarono la morte, nei giorni e nei mesi successivi, molti altri superstiti dell’eccidio di Cefalonia. Tre delle navi sulle quali viaggiavano, infatti, diretti ai campi di internamento tedeschi, affondarono dopo aver lasciato l’isola, e le vittime furono tra le 1.300 e le 1.500. In totale, i morti di Cefalonia furono tra i 1.914 e i 3.800, perlopiù fucilati o uccisi dopo la resa, nelle stragi indiscriminate e nella rappresaglia che coinvolse gli ufficiali. A queste cifre vanno aggiunte quelle dei morti in mare.
Circa 1.200 superstiti della Acqui furono trattenuti sull’isola come lavoratori addetti alla manutenzione delle difese costiere. Molti altri raggiunsero i campi d’internamento dell’Europa orientale e subirono una prigionia durissima fino alla fine della guerra.
La memoria dell’eccidio di Cefalonia è sicuramente quella che, tra gli episodi relativi ai militari italiani dopo l’8 settembre, ha trovato più spazio e più diffusione dal dopoguerra a oggi. La storia della Acqui è infatti inserita in quasi tutte le narrazioni della storia della Resistenza e molti sono, sul territorio nazionale, i monumenti, le lapidi e in generale i luoghi della commemorazione pubblica dell’eccidio di Cefalonia (in primo luogo, il Sacrario Militare dei Caduti d’Oltremare di Bari; in secondo luogo, il monumento nazionale in memoria dei caduti della Divisione “Acqui” di Verona; ma vi sono targhe, lapidi e opere scultoree in molte città italiane, che spesso dedicano alla Acqui anche intitolazioni toponomastiche). Ciononostante, solo negli ultimi anni esso è divenuto un vero e proprio patrimonio collettivo della memoria nazionale. A curare, fin dall’immediato dopoguerra, la memoria delle vittime della Acqui è l’Associazione Nazionale Reduci Superstiti e Famiglie Caduti Divisione Acqui. Fondata nel 1945, l’Associazione è stata ed è ancora oggi una delle più attive associazioni combattentistiche presenti in Italia. Dall’inizio degli anni 2000, un piccolo locale di proprietà della chiesa cattolica di Argostoli ospita una mostra-museo sulla storia della Divisione Acqui. Allestita in origine grazie agli sforzi dell’arch. Bruna De Paula – Custode ufficiale del monumento italiano posto sulla collina di San Teodoro, nei pressi della Casetta Rossa – e di padre Severino Trentin, la mostra-museo è attualmente curata dall’Associazione italo-greca «Mediterraneo» di Cefalonia e Itaca; il museo è anche la sede locale dell’Associazione Acqui. L’allestimento si compone di alcuni pannelli, che ricostruiscono, per mezzo di fotografie, lettere, documenti dell’epoca e testimonianze di superstiti e di familiari dei caduti, le vicende dei militari della Divisione Acqui coinvolti nei combattimenti del settembre 1943. Il museo conserva inoltre numerosi cimeli e residuati bellici italiani, tra i quali tegami, zaini militari, gavette, borracce e altri oggetti in dotazione ai soldati della Acqui. Si tratta di reperti originali, perlopiù rinvenuti sull’isola e donati al museo. La mostra-museo è il centro ideale di alcuni percorsi della memoria da svolgersi nell’intera isola sulla base dell’Itinerario della memoria. Guida ai luoghi delle stragi dei militari italiani a Cefalonia realizzato da B. De Paula e P. Paoletti nel 2011. Il volumetto, di agile consultazione, rende evidente il fatto che l’intera isola di Cefalonia sia un luogo della memoria dell’eccidio dei militari italiani e, quindi, almeno dall’inizio del nuovo secolo, dell’identità stessa della Repubblica Italiana.
- Monumento ai Caduti Italiani della Divisione “Acqui” di Cima Telegraphos (Lassi) “Casetta rossa” di Punta San Teodoro (Lassi)
- Lapide della “fossa degli ufficiali” di Punta San Teodoro (Lassi)
- Monumento in memoria dei 68 caduti e dispersi della 215a Compagnia Lavoratori Sloveni di Kàstro
- Monumento in memoria degli 11 cefalioti trucidati dai Tedeschi il 16 luglio 1944 di Argostoli
- Monumento in memoria dei caduti cefalioti di Lixoúri
- Monumento in memoria dei caduti cefalioti di Napier
- B. De Paula e P. Paoletti, Itinerario della Memoria. Guida ai luoghi della strage dei militari italiani a Cefalonia (settembre 1943) Mephite ed, Atripalda (AV), 2011.
- La Divisione Acqui a Cefalonia: settembre 1943, a c. di G. Rochat e M. Venturi, Milano, Mursia, 1993;
- R. Formato, L'eccidio di Cefalonia, Roma, De Luigi, 1946 (e varie edizioni successive);
- L. Ghilardini, I martiri di Cefalonia. Esumazione dei Caduti, Scuola Tipografica Opera SS. Vergine di Pompei, Genova, 1952 (varie ed. successive);
- L. Ghilardini, Sull'arma si cade ma non si cede, Litografia Opera SS. Vergine di Pompei, Genova,1963 (varie ed. successive);
- F.H. Meyer, Il massacro di Cefalonia e gli altri crimini di guerra della 1a divisione da montagna tedesca, a cura di M.H. Teupen, Udine, Gaspari, 2012.
- Né eroi, né martiri, soltanto soldati. La Divisione Acqui a Cefalonia e Corfù settembre 1943, a c. di C. Brezzi,Bologna, Il Mulino 2014;
- M. Venturi Bandiera bianca a Cefalonia, Feltrinelli, Milano, 1963 (romanzo)