Monitoraggio: criteri di selezione

Dato l’alto numero di musei e luoghi censiti, ben maggiore (oltre 160) di quanto in origine ipotizzato (circa 70), è stato necessario definire criteri per l’individuazione di quelli da prendere in considerazione, che alla fine sono risultati essere 133. Il Comitato nazionale per le celebrazioni di carattere nazionale aveva previsto che avesse dovuto considerare (1) “luoghi simbolo della Resistenza e della guerra di Liberazione già organizzati con percorsi espositivi o monumentalizzati”, (2) “siti che preferibilmente insistano su un’area demaniale e che abbiano una gestione già avviata che ne permetta l’accesso”, (3) “caratterizzarsi per una struttura e per una configurazione aventi un minimo di caratteristiche unitarie, già presenti o da realizzare”, (4) si precisava che potesse trattarsi di sia di istituzioni e sia di soggetti privati.
Riflettendo ulteriormente su ciascuno di essi si sono individuate con più precisione criteri che fossero adeguati a inserirli in un ipotizzato Museo diffuso (meglio, virtuale) della Resistenza e della guerra di Liberazione.

A — sede demaniale o pubblica.
Il requisito è risultato fondamentale per garantire la permanenza nel tempo soprattutto dei luoghi attrezzati in sedi già monumentali e museali.

B — organizzazione e gestione autonoma.
Si tratta di un requisito che sarebbe auspicabile che fosse sempre e dovunque presente e che dovrebbe essere garantito dalla presenza negli organi di governo, accanto all’ente che ne ha la proprietà, di qualche rappresentanza della società civile o del mondo associativo o culturale ( associazioni di volontariato, associazioni di partigiani e di deportati, istituti storici della Resistenza, Università, scuola, ecc.).
Si è cercato – non sempre con successo – di verificare che il Museo o luogo della memoria avesse un proprio statuto (se costituiti da associazioni) o regolamento (se dipendente da soggetti pubblici), o che avessero una direzione con compiti formalizzati precedentemente o contestualmente alla nomina.
E’ accaduto che alcuni musei abbiano nel tempo mutato condizioni stesse di esistenza senza che venissero adottati particolari provvedimenti amministrativi. Soprattutto in casi di chiusura di sezioni resistenziali di musei civici o risorgimentali, vi sono stati casi – sia pure limitati- di chiusura per avvicendamento di amministrazioni con altre di colore diverso o casi di dichiarazioni di chiusura per ristrutturazioni che avrebbero comportato l’istituzione di un museo in luogo di una sezione resistenziale, in realtà mai avvenuta.

C — percorso espositivo e/o progetto scientifico o documentario.
Non si è ritenuto sufficiente che ci si trovasse di fronte ad un monumento del passato, per quanto rilevante – come nel caso del carcere di Santo Stefano di Ventotene (LT), o del Forte Bravetta di Roma, o del campo di internamento civile di Fraschette di Alatri (FR), oppure di alcuni monumenti-sacrari militari, accompagnati da piccole mostre di cimeli o senza particolare ordina o da un ordine che non era caratterizzato da un progetto culturale-storiografico.
Allo stesso modo, la necessità di chiarire i termini storiografici del progetto scientifico-espositivo, non sempre riconoscibile nelle esposizioni, ha portato alla temporanea sospensione di alcuni musei militari e di alcuni musei ebraici, soprattutto in relazione al periodo 1943-1945.
Invece, sono state escluse alcune raccolte di collezioni di armi, uniformi, altri cimeli militari, ma anche di fotografie, manifesti e altri materiali a stampa organizzati con criteri di classificazione collezionistica.

D — accessibilità regolare e promozione delle visite.
Si è ritenuto fondamentale che al Museo o al luogo venisse garantito un accesso regolare e continuo, non solo eventuale ed occasionale. Inoltre, che vi fosse possibilmente una previsione e promozione di attività didattiche o di promozione culturale. Pertanto, non si sono considerate quelle raccolte e collezioni, conservate in genere presso privati, che sono in grado di permettere soltanto accessi occasionali e per periodo di tempo molto limitato.
Quanto alle attività di promozione educativa e culturale, esse – in genere – sono svolte in proprio, tramite apposite commissioni e sezioni, talora in collaborazione con istituti storici della Resistenza o associazioni partigiane o sindacati scuola. Di recente, soprattutto in questo settore, si sono inserite società commerciali e studi professionali che curano l’immagine e la comunicazione, oltre ad agenzie turistiche.

E — contenuti culturali/storiografici.
Ci si è attenuti ad accezioni correnti di concetti come antifascismo, Resistenza, deportazione, internamento, partigiani, considerando che gran parte dei musei e luoghi della memoria erano stati allestiti e attrezzati in periodi in cui la storiografia era essa stessa agli inizi e non aveva quella ricchezza problematica oggi presente. Resistenza e antifascismo, nonostante certe precisazioni, erano considerati un tutt’uno, il partigiano combattente era il soggetto individuale e la formazione partigiana quello collettivo principale e prevalente, la lotta armata e l’attività dei partiti e dei CLN erano le massime espressioni. Esclusi dal conto, allora, erano i militari – sia come combattenti del Regno del Sud, sia come internati. Unico luogo dove avevano uno spazio riconosciuto come militanti del Fronte militare clandestino della Resistenza. Quanto ai deportati, nonostante che l’associazione che li rappresenta annoveri anche quelli politici e non solo razziali, erano considerati quasi esclusivamente quelli ebraici.