Emilia Romagna | Gattatico (RE)
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Il luogo e le vicende
Teatro delle vicende della famiglia Cervi è il podere dei Campi Rossi, al confine tra i comuni di Campegine e Gattatico, nella media pianura reggiana. La particolarità della vicenda di questa famiglia di campagna sta nel fatto di essere insieme eccezionale e paradigmatica: perché se la vita della famiglia era, sotto certi aspetti, quella normale di una famiglia contadina nella media pianura reggiana tra le due guerre, ci sono altri elementi che la rendono unica: dall’essere “contadini di scienza”, al rappresentare una famiglia patriarcale un po’ atipica, fino al partecipare alla lotta di Resistenza in un modo nuovo e non di rado conflittuale rispetto alle posizioni ufficiali del locale Partito Comunista cui avevano aderito. Il matrimonio di Alcide Cervi con Genoeffa Cocconi risale al 1899, ma solo nel 1920 essi decisero di staccarsi dalla famiglia patriarcale per trasferirsi come mezzadri in altri poderi. Nel 1934 essi presero in affittanza il podere dei Campi Rossi di Gattatico. Il passaggio da mezzadri ad affittuari fu un passo significativo dettato dalla volontà di approntare modifiche al podere e tentare di mettere in pratica un’agricoltura più razionale. Il contratto mezzadrile, infatti, essendo della durata di un anno, non incoraggiava certo all’introduzione di migliorie; l’affitto invece era di durata pluriennale e permetteva all’affittuario di svolgere un’autonoma attività imprenditoriale sul proprio fondo. Il grande impegno profuso nel tentativo di realizzare un’agricoltura più razionale che valse ai Cervi la fama di contadini di scienza, fu solo l’aspetto più visibile di una naturale propensione allo studio e di un costante impegno nella lettura e nell’apprendimento. Il 1933, anno in cui Aldo (il secondogenito) venne ingiustamente accusato d’insubordinazione ed arrestato, è un importante spartiacque nella storia della famiglia. Al carcere di Gaeta, infatti, l’incontro con alcuni prigionieri politici spinse Aldo alla lettura di autori come Marx e Labriola, permettendogli d’iniziare un percorso di grande maturazione politica che ebbe modo di comunicare al resto della famiglia. Le famiglia Cervi aveva origini cattoliche ma, come molte altre famiglie emiliane, si era avvicinata agli ideali socialisti alla fine dell’800 grazie alla predicazione prampoliniana. La stessa natura del socialismo prampoliniano, infatti, basata sui concetti evangelici di amore e fratellanza, aveva fatto sì che essi potessero avvicinarsi al socialismo senza rinnegare la propria fede cristiana.
Dopo l’esperienza in carcere di Aldo, l’attività antifascista della famiglia aumentò gradualmente, e soprattutto diventò più razionale, pur rimanendo sempre limitata nell’ambito della propaganda e della diffusione della stampa clandestina. Essa, comunque non passò inosservata, come dimostra il fatto che nel 1939 Gelindo venne arrestato e gli vennero conferiti due anni d’ammonizione. Dal 1940, con l’entrata in guerra dell’Italia, l’attività antifascista dei Cervi si ampliò, essi furono tra i primi a boicottare gli ammassi anche se il loro impegno maggiore fu quello di ideare stratagemmi di vario tipo per ottenere l’esonero militare per il maggior numero possibile di giovani antifascisti. Il 25 luglio 1943, la caduta del fascismo venne “celebrata” dalla famiglia con una pastasciuttata per tutto il paese. Dopo l’8 settembre 1943, la creazione della Rsi, l’occupazione di fatto dell’Italia da parte dei tedeschi e la trasformazione del territorio nazionale in territorio di guerra, portò i sette fratelli Cervi alla decisione d’intraprendere da subito la lotta armata formando, fin dall’ottobre 1943, la prima banda armata del reggiano. La formazione dei Cervi si rese protagonista di alcune importanti azioni, come il disarmo del presidio fascista di Toano, avvenuto il 25 ottobre, o quello dei carabinieri di San Martino in Rio avvenuto a metà novembre. La scelta dei Cervi creò immediatamente molte polemiche che continuarono anche ben dopo la fine del conflitto. Nel novembre 1943, quando la banda Cervi fu costretta a ritornare in pianura per mancanza di collegamenti, apparve evidente come la casa dei campi Rossi non fosse più da considerare un luogo sicuro. Nonostante le raccomandazioni dei figli, infatti, Alcide e Genoeffa, avevano continuato ad ospitare in casa soldati sbandati ed ex prigionieri, attirando l’attenzione dei fascisti. Il tentativo di trovare un rifugio alternativo a quanti erano ospitati nella casa dei campi Rossi fallì. La mattina del 25 novembre 1943 casa Cervi fu accerchiata dai fascisti. Dopo un conflitto a fuoco i sette fratelli, papà Cervi e Quarto Camurri (un soldato sbandato che faceva parte della banda) vennero catturati e portati al carcere di San Tommaso a Reggio Emilia. Il 28 dicembre 1943 i sette fratelli e Quarto vennero fucilati per rappresaglia in seguito all’uccisione del segretario del fascio di Bagnolo in Piano. Papà Cervi fu risparmiato e riuscì ad evadere dal carcere colpito da un bombardamento il 7 gennaio 1944.
Normalmente si considera come atto di fondazione del museo Cervi la lettera del 1964 con la quale Alcide Cervi donò la casa dei Campi Rossi alla provincia, in realtà però il museo esisteva già da molto tempo. Già nell’immediato dopoguerra, infatti, papà Cervi volle mantenere viva la memoria del sacrificio dei propri figli. Peraltro, in quel periodo, la loro vicenda aveva iniziato ad avere grande diffusione, aumentata incredibilmente con la pubblicazione, nel 1955, del libro I miei sette figli e, in un secondo momento, con l’uscita nelle sale del film I sette fratelli Cervi di Gianni Puccini (1968). In particolare la pubblicazione del libro fu un tassello fondamentale per la comprensione delle dinamiche legate alla memoria pubblica della vicenda della famiglia Cervi e, in modo assolutamente contiguo, dell’antifascismo. Il testo era stato scritto da Alcide Cervi e dal funzionario del partito comunista Renato Nicolai e fu tradotto in sei lingue tra cui il russo ed il cinese. Inizialmente il ruolo di Nicolai era dato come marginale, quasi lo avesse scritto sotto dettatura poi, con il passare degli anni, diventò sempre più centrale e definito il suo ruolo. Ciò nonostante, la crescente fama della vicenda fece sì che sempre più persone sentissero il desiderio di conoscere i luoghi protagonisti delle vicende raccontate nel libro e fu in questo modo che ebbe origine quello che è stato più volte definito un vero e proprio “pellegrinaggio laico”: gruppi di persone, singoli cittadini o rappresentanti di associazioni iniziarono a recarsi a casa Cervi per ascoltare il racconto dalla voce del vecchio Cide e per lasciare un dono, segno del proprio passaggio. Tra i doni più significativi, se non altro per comprendere le dimensioni del mito dei sette fratelli, figurano un modellino di sputnik donato da una delegazione russa ed una palla da baseball firmata dall’intera nazionale cubana. Nel 1961, quindi, una stanza della casa dei Campi Rossi fu designata a “luogo del racconto”: l’attuale sala audiovisivi, con il fondamentale contributo del Partito Comunista, venne allestita a spazio museale dedicato al racconto di papà Cervi. Al suo interno vennero collocati una serie di oggetti e documenti la cui funzione avrebbe dovuto essere quella di supportare in qualche modo il racconto, oltre che di attestarne la veridicità. La maggior parte del patrimonio conservato nel museo ‒ fatta esclusione per gli oggetti appartenuti alla famiglia ‒ è giunta attraverso il dono, e questa particolarità di acquisizione spiega la sua apparente eterogeneità: strumenti del lavoro contadino, documenti della famiglia, fotografie, libri, una miriade di doni spesso privi di qualsiasi valore oggettivo. Ma, se si considera la vicenda della famiglia Cervi da tutti i punti di vista da cui può essere analizzata ‒ etnografico, storico ed antropologico ‒ il patrimonio conservato risulta assai meno eterogeneo.
L’unica porzione di patrimonio che possa considerarsi preziosa nel senso economico del termine è la raccolta d’arte. La sua formazione risale agli inizi degli anni ’60 e comprende solo autori di età contemporanea quali, per citarne alcuni, Aldo Borgonzoni, Renato Guttuso ed Ernesto Treccani. Gran parte delle opere sono giunte al museo come donazioni degli stessi artisti o di istituzioni, e sono ascrivibili alla grande stagione della pittura sociale sviluppatasi tra gli anni ’50 e ’60. La maggior parte delle opere possedute si richiamano a tematiche resistenziali, del lavoro, e della solidarietà e, per la quasi totalità, sono ispirate direttamente alle vicende della famiglia Cervi. Nel 1975 il piccolo museo venne smantellato con l’idea di creare un nuovo allestimento che tenesse conto e, in qualche modo cercasse di colmare, il vuoto lasciato dalla morte di Alcide, almeno sul piano del racconto. Dal 1975 ai primi anni ’90 si susseguirono diverse ipotesi di riallestimento, anche molto ambiziose, ma il museo rimase sostanzialmente invariato fino al nuovo allestimento, il cui progetto fu presentato nel 1997. Inaugurato nell’aprile del 2001, questo nuovo allestimento ha rappresentato un enorme salto di qualità. Ora il percorso è articolato in due nuclei tematici suddivisi secondo la funzionalità della casa contadina. Nella parte “produttiva” della casa ‒ dove in passato trovavano spazio stalle e fienili ‒ sono state collocate le sezioni dedicate al lavoro contadino, all’antifascismo, alla Resistenza, all’eccidio dei sette fratelli ed alla memoria della famiglia nell’Italia del dopoguerra; nella parte della casa dedicata all’abitazione troviamo invece la ricostruzione di alcuni ambienti della casa contadina (cucina, cantina e camere da letto), oltre alla sala audiovisivi. Il museo, dunque, appare oggi come un affascinante ibrido tra museo storico e museo della civiltà contadina, tramite una trama che tiene costantemente legate la Storia e le storie. Nell’ottica poi di recuperare il legame della comunità con il proprio territorio, è stato progettato un parco agronomico il cui obiettivo sarà quello di rendere fruibile il paesaggio agricolo della media pianura reggiana tra le due guerre, cercando di mantenere quello sguardo aperto e multidisciplinare che ha caratterizzato il nuovo allestimento e che impronta le attività organizzate dal museo. Il museo è gestito dall’Istituto Alcide Cervi, costituito il 24 aprile 1972 per iniziativa della provincia di Reggio Emilia, dell’Alleanza nazionale contadini, dell’Anpi e del Comune di Gattatico.
- Biblioteca
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- Aula didattica
- Accesso ai disabili
- Parcheggio
- Via Fratelli Cervi 9 - Gattatico (RE)
- 0522678356 Istituto Cervi
- info@istitutocervi.it
- www.istitutocervi.it
- Museo storico della Resistenza 07.44, Sasso di Neviano degli Arduini (Pr)
- Museo del Risorgimento Musini, Fidenza, Parma
- Museo della Repubblica Partigiana di Montefiorino, Modena
- Museo monumento al deportato politico e razziale, Carpi, Modena
- Museo del combattente, Modena
- Guerrino Franzini, Storia della Resistenza reggiana, Anpi, Reggio Emilia 1966.
- Aldo Ferretti, I Cervi, le idee, le azioni, Anpi, Reggio Emilia 1980.
- Liano Fanti,Una storia di campagna. Vita e morte dei fratelli Cervi, Camunia, Milano 1990.
- Eva Lucenti, I fratelli Cervi, nascita di un mito, Tecnograf, Reggio Emilia 2006
- Luciano Casali, Il trattore e il mappamondo. Storia e mito dei fratelli Cervi, Clueb, Bologna 2008
- Dario Fertilio, L’ultima notte dei fratelli Cervi. Un giallo nel trinagolo della morte, Marsilio, Venezia 2012.
- Alcide Cervi-Renato Nicolai, I miei sette figli, Einaudi, Torino 2013.