Memoriale della deportazione

Piemonte | Borgo San Dalmazzo (CN)

Il luogo e le vicende

Il Polizeihaftlager di Borgo San Dalmazzo funzionò come campo di raccolta di ebrei, italiani e stranieri, tra il 18 settembre 1943 e il 21 novembre dello stesso anno e poi, sotto il controllo repubblichino, dal 9 dicembre al 13 febbraio 1944. Esso fu collocato nell’ex caserma degli alpini di questa piccola cittadina dai tedeschi, che avevano occupato il cuneese il 12 settembre.

La storia del campo può essere suddivisa in due fasi. Nella prima, dal 18 settembre al 21 novembre 1943, vi furono rinchiusi 349 prigionieri di diverse nazionalità, soprattutto ebrei polacchi, francesi e tedeschi (ma anche austriaci, romeni, ungheresi e greci), provenienti per la massima parte da St. Martin Vésubie, sulle Alpi Marittime, una residenza coatta creata dalle forze di occupazione italiane nella Francia del Sud. Non tutti gli ebrei stranieri che giunsero in Italia da St. Martin Vésubie dopo l’8 settembre – in seguito al dissolvimento dell’esercito italiano – furono internati a Borgo San Dalmazzo: su circa ottocento persone si salvarono coloro che riuscirono ad allontanarsi dalla zona prima dell’arrivo dei tedeschi − raggiungendo la Svizzera o, attraverso Genova, Firenze e da lì le zone liberate dagli Alleati − oppure coloro che si nascosero nei boschi tra le valli Gesso e Stura, rimanendovi con l’aiuto degli abitanti, e in alcuni casi partecipando anche alla lotta partigiana, fino alla Liberazione. I prigionieri arrestati dopo il bando emanato dai tedeschi il 18 settembre che ordinava l’arresto immediato di tutti gli stranieri presenti nella zona, rimasero al campo un paio di mesi: la mattina del 21 novembre, su ordine dell’Ufficio antiebraico della Gestapo di Nizza, furono trasferiti a Nizza, e poi a Drancy, da dove il 7 dicembre partirono per Auschwitz. Il loro numero, inferiore rispetto agli ingressi al campo (328 su 349 ingressi), era dovuto ad alcuni casi di fuga, a morti per malattia e al fatto che i prigionieri ricoverati all’ospedale di Cuneo furono risparmiati e poi nascosti con la complicità del personale. Diversa fu invece la sorte dei quarantuno malati ricoverati all’ospedale di Borgo, caricati sui vagoni insieme agli altri. La seconda fase del campo si aprì nel dicembre 1943, dopo che la carta di Verona aveva formalizzato, nell’Italia della Repubblica di Salò, la caccia agli ebrei: il campo fu dunque riaperto dai fascisti e destinato al concentramento degli ebrei della provincia. Ventisei persone, in maggioranza donne, furono così internate nella caserma, sorvegliata e diretta da italiani. Il 13 gennaio 1944 la Questura di Cuneo dispose che i ventisei internati, 18 donne e 8 uomini, fossero «tradotti straordinariamente al campo di concentramento di Carpi (Modena)», cioè a Fossoli. In questo modo le autorità italiane rispondevano alle direttive dei nazisti, che, volendo raggiungere in tempi stretti un numero di prigionieri sufficiente a organizzare un trasporto ad Auschwitz, avevano sollecitato l’invio di internati. Il convoglio che partì da Fossoli il 22 febbraio trasportava così, oltre a Primo Levi, anche 23 dei 26 internati di Borgo.

Il campo di concentramento di Borgo San Dalmazzo si trovava nella prima periferia del paese, a pochi passi dalla stazione ferroviaria, non lontano dalla chiesa parrocchiale, lungo la principale via di transito collegante la pianura cuneese alla Francia e alle valli Gesso e Vermenagna. Oggi non ne rimane praticamente più alcuna traccia materiale: il suo perimetro è in parte occupato dall’edificio delle scuole medie e da un centro per servizi socioassistenziali dell’Azienda sanitaria locale: su di essi due epigrafi ricordano la detenzione e la partenza dei convogli per i campi di sterminio. Dopo un iniziale periodo di abbandono durato venti anni, in cui il campo rimase come era stato lasciato alla sua chiusura, nel 1964 iniziarono i lavori per la sua trasformazione. Tra quell’anno e il 1974 un’ala dell’edificio fu abbattuta per costruire la scuola media e, tra il 1975 e l’Ottanta fu costruito un altro edificio dall’Usl, rendendone definitivamente irriconoscibile il tracciato originario. Alla rimozione fisica del luogo si accompagnarono, nel corso degli anni, alcuni tentativi di mantenere la memoria di quanto avvenne a Borgo San Dalmazzo tra il novembre 1943 e il febbraio 1944. Prima fu realizzato un murale da una classe delle scuole medie su una parete esterna della vecchia caserma nel trentennale della Liberazione, e poi la sala riunioni del palazzo dell’Asl fu intitolata a don Raimondo Viale (l’allora parroco della cittadina, fervente antifascista, che organizzò l’assistenza a molti ebrei stranieri nascosti nelle montagne); infine al suo interno fu allestito qualche pannello con foto d’epoca del campo ed altre di repertorio sulla deportazione. Dal 2003 − all’interno del progetto Interreg “La memoria delle Alpi”, che ha coinvolto le zone alpine transfrontaliere di Italia, Francia e Svizzera per promuovere la conoscenza e la valorizzazione del territorio con particolare riferimento al periodo della Resistenza − anche a Borgo San Dalmazzo l’amministrazione comunale si è attivata per mantenere quanto rimane della memoria del campo attraverso un allestimento di tre vagoni ferroviari presso la stazione cittadina (l’unica struttura rimasta intatta dal 1944) a testimonianza delle deportazioni.

Il memoriale, inaugurato il 30 aprile 2006, è costituito da una piastra in cemento armato circondata da massi di varia dimensione, che sostiene venti sagome verticali, che rappresentano i sopravvissuti, e trecentotrentacinque lastre fissate a terra con il nome di ogni deportato che non è tornato dai campi di sterminio. Di ogni persona vengono riportati nome, cognome, età iscritta nel registro all’entrata nel campo di concentramento e nazionalità di origine; ogni gruppo famigliare viene poi separato da quello successivo attraverso una lastra di metallo non incisa a rappresentare i legami di parentela. L’illuminazione, principalmente dal basso, contribuisce a rafforzare l’impatto emotivo: alcuni faretti sono posizionati alla base di ognuna delle sagome dei sopravvissuti, mentre una serie di luci nascoste circondano l’intero basamento. Il memoriale della deportazione non vuole però essere solo un luogo dove prevalga l’aspetto emozionale, ma è stato pensato anche come un luogo della memoria nel quale comprendere le vicende legate al campo di Borgo San Dalmazzo: per questo all’ingresso è stato collocato un pannello introduttivo e di commento all’installazione. All’interno di ciò che resta dei locali dell’ex-campo di concentramento, attualmente parzialmente occupati dagli uffici dell’ASL, è ospitata la sala don Viale, utilizzata come laboratorio didattico, punto di incontro per presentazioni, proiezioni, conferenze e manifestazioni, punto di partenza o di arrivo con disponibilità di materiale informativo e bibliografico per i percorsi ebraici della provincia che ad esso fanno riferimento. Presso i locali dell’ASL 1 si trova anche una piccola mostra fotografica che riproduce i locali del campo negli anni ’40 e le successive modificazioni strutturali e d’uso.

Come arrivare

Comune di Mignano Montelungo