Museo della Deportazione

Toscana | Prato (PO)

Il luogo e le vicende

Figline è una piccola frazione del comune di Prato, centro industriale da secoli legato ad una fiorente produzione tessile. Fin dall’inizio del Novecento, la presenza di numerose aziende stimolò la concentrazione di una classe operaia numerosa e dalle forti tradizioni di lotta (molto intensi erano stati gli scioperi durante il biennio rosso), tanto che, durante il ventennio fascista, le fabbriche, dislocate nel centro cittadino, diventarono vere e proprie “università dell’antifascismo”. Prato, partecipò alla lotta antifascista con l’organizzazione di Gap e Sap in città e di robuste formazioni di combattenti in montagna e nella valle del Bisenzio. 

Nel marzo 1944, mentre la Resistenza sulle montagne della provincia intensificava gli scontri contro fascisti e nazisti, in città gli operai aderirono allo sciopero generale proclamato dal Cln su proposta del Partito comunista. La mobilitazione fu preceduta a Prato da una meticolosa preparazione propagandistica e, la mattina del 4 marzo, i partigiani organizzarono picchetti armati davanti alle fabbriche e lungo le principali vie di comunicazione che collegavano la città alle campagne (molti pratesi erano, infatti, sfollati nelle campagne per cercare rifugio dai bombardamenti). Colti di sorpresa, i fascisti rimasero sgomenti di fronte all’entità della protesta che coinvolse la maggioranza dei lavoratori e, immediatamente, i tedeschi “imposero” l’immediata cessazione dello sciopero, minacciando una dura repressione contro alla popolazione e chiedendo la cattura di 1.900 uomini da spedire in campi di lavoro in Germania. Nonostante qualche defezione, però, lo sciopero proseguì anche nei giorni seguenti, addirittura sino al 6 e 7 marzo e, in alcuni casi, anche oltre.

La reazione fascista non si fece attendere a lungo e già il 7 marzo, in una città duramente colpita da un bombardamento, ebbe inizio quella che in un suo memoriale il vice commissario prefettizio definì una “caccia all’uomo”. Passanti, sinistrati, operai che tornavano o andavano al lavoro, antifascisti più o meno noti, vennero catturati da squadre della Gnr e raccolti all’interno del Castello dell’Imperatore. Il giorno seguente, vista l’insufficienza del bottino, i fascisti terminarono la loro opera visitando altre tre fabbriche e catturando quanti, nei giorni precedenti, si erano astenuti dal lavoro.

Stipate all’interno di carri bestiame sigillati, le persone catturate a Prato furono portate alla stazione di Santa Maria Novella e da qui instradate verso la Germania, insieme ad altri uomini e donne catturate in altre parti della Toscana. Il treno l’11 marzo giunse a Mauthausen.

Dopo essere stati immatricolati, rasati, disinfestati ed aver subito umiliazioni e torture, il 24 marzo i deportati di Prato vennero in maggioranza trasferiti ad Ebensee, uno dei maggiori fra i circa quarantanove sottocampi di Mauthausen. Altri finirono nei campi di Gusen, Bad Goisern, Linz ed al centro per “l’eutanasia” di Hartheim. All’interno delle grotte di Ebensee i deportati pratesi, insieme ad altri provenienti dai paesi europei conquistati dalle armate naziste, sperimentarono quello che è stato definito l’“annientamento attraverso il lavoro”, formula estrema che esprime l’ambizione ma anche la contraddizione di ottenere il massimo rendimento (e di profitto) dai lavoratori-schiavi e la realtà dell’annientamento fisico degli avversari politici e razziali. Ad Ebensee i prigionieri furono costretti a lavorare con turni massacranti di dodici ore per la costruzione di enormi gallerie sotto le montagne circostanti per rendere possibile il trasferimento del centro di ricerca e collaudo missilistico di Peenemunde. Denutriti, mal vestiti per sopportare il freddo inverno austriaco, mantenuti in terribili condizioni igienico-sanitarie e sottoposti ad angherie e privazioni, migliaia di deportati morirono. Il numero di decessi fu talmente alto che nel luglio del 1944 anche ad Ebensee si rese necessaria la costruzione e la messa in funzione di un forno crematorio. Si è stimato che dei 27.000 prigionieri che furono rinchiusi all’interno di Ebensee circa 8.500, uno su tre, morirono. Fra le 136 persone di Prato che furono inviate nei campi di concentramento, catturate soprattutto durante il massiccio rastrellamento di marzo, ma anche nei mesi successivi, solo in 20 sopravvissero.

Intanto, nella città di Prato, mentre i cittadini catturati nel marzo del 1944 morivano all’interno dei campi nazisti, la Resistenza contro le forze nazifasciste proseguiva in un crescendo di azioni che culminarono con la liberazione della città il 6 settembre. Tuttavia, le violenze nazifasciste sino all’ultimo non si fermarono: nella notte tra il 5 ed il 6 settembre, proprio mentre le squadre di città entravano in azione per assumere il controllo della periferia e del centro, la brigata Buricchi che operava nelle vicine montagne di Prato si mise in marcia per partecipare alle operazioni. Nella sua discesa però, venne intercettata da truppe tedesche nella località di Pacciana. Lo scontro improvviso, provocò uno sbandamento della brigata e la cattura di 29 partigiani che la mattina del giorno seguente, lo stesso della liberazione di Prato, vennero impiccati sotto ad una volta nel centro del paese di Figline.  

La scelta di collocare il Museo delle Deportazione e Centro di documentazione della Deportazione e della Resistenza a Figline non è stata una scelta casuale. La fatalità e la tragica modalità dei fatti che vi si compirono e la forza con la quale si sono imposti nella memoria della collettività – che ancora oggi ricorda ogni anno quegli eventi con una fiaccolata – spiegano la scelta di questo luogo, eletto a simbolo dei crimini nazisti e fascisti e dei valori dell’antifascismo.

Accanto alla memoria delle stragi nel secondo dopoguerra, per volontà dell’Associazione degli ex-deportati (Aned) e del Comune di Prato si è aggiunta la volontà di ricordare i pratesi deportati durante la seconda guerra mondiale nei campi di concentramento nazisti. Il processo che ha portato all’istituzione di un Museo e Centro di documentazione della Deportazione è stato però lungo ed articolato.

Già negli anni immediatamente successivi alla fine della seconda guerra mondiale i superstiti e i familiari delle vittime manifestarono la volontà di recarsi a Ebensee, in Austria e, dopo numerosi viaggi, di estendere il racconto di quella loro memoria alla cittadinanza di Prato. All’interno delle grotte di Ebensee iniziarono quindi la raccolta di oggetti e altri segni materiali che potessero testimoniare e raccontare la vita all’interno del campo.

Nel 1974 con gli oggetti raccolti venne allestita una mostra ospitata all’interno del Palazzo Comunale di Prato e, nel 2002, fu inaugurato il Museo della Deportazione, grazie alla collaborazione fra il Comune e la Provincia di Prato, l’Aned, l’Anpi, e la Comunità ebraica.

Il museo attuale è concepito come un viaggio simbolico all’interno di un campo di lavoro e di sterminio nazista. All’interno di una grande stanza buia, in espositori che suggeriscono un senso di “squilibrio e precarietà” sono collocati gli oggetti che i sopravvissuti hanno recuperato a Ebensee e che testimoniano la durezza della vita all’interno del campo. Oggetti come ciotole, portalampade, giubbe da lavoro, oggi apparentemente insignificanti ma che, all’interno del campo, potevano fare la differenza fra la vita e la morte. Ma sono presenti anche oggetti che testimoniano la durezza ed il grado di sfruttamento del lavoro all’interno delle gallerie, le punizioni, le torture e le privazioni alle quali erano costretti i detenuti, e la cui funzione viene illustrata da didascalie con citazioni tratte da testimonianze di ex-deportati corredate da fotografie e filmati trasmessi da monitor dislocati lungo il percorso museale.

Al piano superiore del Museo ha trovato sede il Centro di documentazione della Deportazione e della Resistenza che fornisce a studiosi, cittadini, ma soprattutto alle nuove generazioni strumenti didattici (libri, Cd-rom, video, Internet,…) per la comprensione dei processi storici che hanno segnato il Novecento al fine di accrescere la consapevolezza civile su argomenti quali l’Antifascismo, la Deportazione e la Resistenza. Accanto alla sala per esposizioni temporanee, è stato ricavato uno spazio dedicato alla stanza della memoria, progetto regionale che in ogni provincia della Toscana cerca di trovare uno spazio di riflessione per le stragi avvenute fra il 1943 ed il 1944.

Un passaggio fondamentale per giungere all’inaugurazione del Museo per fu il gemellaggio fra le città di Prato e di Ebensee nel 1987, fortemente voluto dagli ex deportati a nome dell’Aned e dai familiari delle vittime.

Il 26 gennaio 2007, per iniziativa del Comune di Prato e di tutti i Comuni dell’area pratese (Cantagallo, Carmignano, Montemurlo, Poggio a Caiano, Vaiano, Verni), delle sezioni pratesi dell’ANED e dell’ANPI e della Comunità Ebraica di Firenze, è stata costituita La Fondazione “Museo e Centro di Documentazione della Deportazione e Resistenza – Luoghi della Memoria Toscana”.

  In Auto: autostrada A 1, uscita Prato Est
  In treno: linea Bologna – Firenze, dalla stazione dei treni di Prato autobus linea 12.
 
Comune di Prato