Museo della Repubblica partigiana

Emilia Romagna | Montefiorino (MO)

Il luogo e le vicende

Montefiorino è un comune collinare di circa 2.400 abitanti, al confine tra l’Appennino modenese e quello reggiano. Il paese è dominato dalla rocca, da sempre simbolo e centro del potere: dapprima residenza dei Montecuccoli, diventò poi sede del comune. Nel periodo tra luglio ed agosto del 1944 esso fu sede di una Repubblica partigiana, cui è dedicato l’omonimo museo. Essa fu una delle tante “zone libere” del nord Italia, cioè uno di quei territori che, nei venti mesi di occupazione tedesca, furono per un certo periodo di tempo conquistati al controllo partigiano e nei quali, accanto al presidio militare, si realizzarono libere attività di carattere amministrativo e politico. Quando queste esperienze assunsero una rilevanza particolare furono definite “repubbliche partigiane” per sottolineare, in modo forse un po’ retorico, il loro carattere di anticipazione rispetto all’assetto della vita sociale e politica auspicato dopo la liberazione. In Italia, nell’estate 1944, due fattori in particolare influenzarono la creazione e lo sviluppo di queste “repubbliche”: il moltiplicarsi della presenza e dell’azione di bande in montagna e la contemporanea avanzata degli Alleati, che produsse la diffusa aspettativa di una prossima liberazione del territorio nazionale. A Montefiorino come altrove, infatti, l’esperienza della zona libera fu probabilmente più favorita dall’andamento della guerra che dall’attività dei gruppi clandestini attivi in quell’area. Infatti, la caduta del fronte di Cassino a fine maggio, e l’ingresso delle truppe alleate a Roma il 4 giugno 1944, rappresentarono un duro colpo per la Rsi e contemporaneamente stimolarono e intensificarono l’attività delle bande, il sabotaggio di strade e ponti o l’aggressione ai presidi della Gnr, che in molte zone dell’Appennino reggiano e modenese a fine giugno erano praticamente scomparsi.

Con l’occupazione di Montefiorino (18 giugno 1944), un territorio di circa 600 km² ‒ che comprendeva i comuni di Toano, Villa Minozzo e Ligonchio, nel Reggiano, oltre a quelli modenesi di Montefiorino, Frassinoro, Prignano e Polinago ‒ finì sotto il comando delle formazioni partigiane. Il fatto che la nascita di questa zona libera non fosse stata frutto di un’azione consapevole ma, in qualche modo, la risultante di una serie di eventi assai poco prevedibili creò, inizialmente, diversi problemi organizzativi, sia di ordine pratico ‒ dal vettovagliamento al calmieramento dei prezzi ‒ sia di carattere politico-istituzionale. Dapprima a Montefiorino, poi in tutti gli altri comuni, nel territorio della “repubblica” vennero costituiti organismi democratici e giunte popolari, i cui membri furono eletti dalla popolazione, attraverso l’assemblea dei capifamiglia. Nonostante se ne sentisse la necessità, non venne costituito un organismo civile e politico di coordinamento tra le varie giunte nei diversi paesi, benché non siano mancati tentativi di estendere i provvedimenti presi in una singola zona a tutto il territorio liberato. La “repubblica” fu molto importante, sia dal punto di vista delle comunicazioni con il fronte, sia per l’approvvigionamento di energia elettrica, poiché nel suo territorio si trovava la centrale idroelettrica di Farneta. Per questo motivo i tedeschi cercarono in più modi di recuperarla, inizialmente tentando la strada dell’accordo. Dopo accese discussioni, il comando partigiano rifiutò le proposte naziste, e questa decisione portò all’attacco tedesco che, il 30 luglio 1944, segnò la fine della “repubblica” partigiana. La popolazione civile pagò il prezzo più alto di quella “guerra in casa”: i paesi di Villa Minozzo, Toano, Gombola, Piandelagotti e Montefiorino vennero distrutti e incendiati, e molti montanari furono catturati e portati al campo di transito di Fossoli (Carpi) per essere poi deportati in Germania. L’obiettivo tedesco di eliminare dalla zona la presenza partigiana non fu comunque raggiunto, perché, nonostante tutto, alcune divisioni rimasero in zona e nel giro di poco tempo si riorganizzarono.

La prima idea di costruire un museo dedicato alla Repubblica partigiana di Montefiorino nacque all’inizio degli anni ’70, ma la sua realizzazione risale solo al 1979, quando esso fu costituito con l’obiettivo di documentare la concreta partecipazione alla lotta di Liberazione della popolazione dell’alta valle del Secchia. Una delle caratteristiche più interessanti di quell’allestimento museale era la grande estensione cronologica del racconto, che partiva dalle violenze squadriste ed arrivava fino alla contemporaneità, dedicandosi anche a problemi attuali e stabilendo un singolare ed efficace contatto tra il passato storico del paese ed il suo presente. In occasione della celebrazione del 50° anniversario della repubblica partigiana (1994) il museo venne ripensato e successivamente aggiornato nel 1996. Una delle differenze principali tra i due allestimenti fu il venir meno di quella dimensione localistica e quasi esclusivamente militare che, almeno nel racconto degli eventi che seguirono l’8 settembre, aveva caratterizzato il primo museo. Il nuovo allestimento, dunque, mirava a non perdere di vista la dimensione nazionale, pur valorizzando le storie locali e, soprattutto, a “personificare” la lotta attraverso l’esposizione di molte fotografie del periodo. Il percorso, articolato in sei sale, era scandito da un racconto che andava dal generale al particolare: dalla definizione del fenomeno resistenziale in Italia fino alla narrazione della vita quotidiana dei partigiani in Val Secchia. La narrazione era articolata e dava grande spazio agli oggetti di vita militare ed alla ricostruzione degli spostamenti delle divisioni operanti nella zona senza, però, penalizzare altri aspetti della Resistenza; anche la dimensione “politica” era ben documentata attraverso la possibilità di consultare documenti e carte tematiche che illustravano le diverse fasi di vita della Repubblica. In quell’allestimento, inoltre, altri percorsi correvano paralleli a quello storico: quello dei volti, delle immagini fotografiche in posa o colte di sorpresa per rendere la dimensione umana e “vissuta” della guerra, e quello delle parole, scritte dai condannati a morte della Resistenza europea e rese in forma poetica dal poeta bolognese Roberto Roversi. Dal 2014 il Museo ospita un nuovo allestimento che si pone in continuità con i precedenti per il suo voler essere uno strumento di approfondimento per tutte le generazioni, soprattutto per quelle più giovani. Il Museo attuale si snoda in un percorso di nove stanze e rimane centrato sulle vicende della “repubblica” del 1944 sebbene all’interno di un contesto più generale e di più lungo periodo: dal fascismo all’antifascismo, dal 25 luglio e 8 settembre all’invasione tedesca, con la rinascita del fascismo in una nuova veste fino alla risposta della Resistenza. La lotta partigiana viene ricostruita nelle sue varie dimensioni ‒ con particolare attenzione all’esperienza in montagna ‒ e nelle sue diverse fasi, dai difficili inizi dell’inverno 1943, alla crescita del movimento nella primavera, fino all’estate partigiana del 1944. In un passaggio continuo tra dimensione locale e nazionale, garantito da teche con oggetti originali che diventano testimoni del passato e installazioni multimediali con informazioni di approfondimento e contestualizzazione, il visitatore può decidere autonomamente di costruire il proprio percorso. La trasmissione del messaggio è assicurata dal sapiente alternarsi del registro didattico e divulgativo e di quello emotivo, il cui obiettivo è, ancora una volta, quello di far sì che il racconto storico non si allontani troppo dalla quotidianità del nostro sentire e non diventi qualcosa di “altro” rispetto al presente dei visitatori.