Museo Storico del Nastro Azzurro - MuSa

Lombardia | Salò (BS)

Il luogo e le vicende

La storia di Salò durante la Seconda guerra mondiale è strettamente connessa alla storia del fascismo e alla sua riorganizzazione dopo l’armistizio dell’8 settembre. Dal dicembre 1943 all’aprile 1945, infatti, Salò fu il centro della Repubblica sociale italiana e dunque la capitale dell’Italia occupata dai tedeschi. La Rsi, estremo tentativo da parte di Mussolini e Hitler di mantenere viva l’Italia fascista, nacque ufficialmente il 1° dicembre 1943, dopo la costituzione, il 25 novembre, del nuovo governo, che aveva lo scopo di salvare l’alleanza fra Italia e Germania e di coprire la crisi irreversibile che si andava presentando su tutti i fronti. Dopo l’opposizione da parte dei tedeschi all’ipotesi di Roma come sede del nuovo governo, gli apparati amministrativi dello stato furono sdoppiati e una parte di essi fu trasferita al nord, nella zona tra il Lago di Garda e Milano (dove successivamente, nell’inverno 1944-45, si sarebbero concentrati i maggiori centri decisionali). La scelta di Salò come capitale della Rsi è probabilmente da ascrivere alla sua posizione strategica, non troppo distante dal confine con la Germania, ma allo stesso tempo defilata e lontana dalle principali vie di comunicazione. Vi erano poi, già allora, numerosi alberghi e strutture in grado di ospitare le sedi di ministeri o di comandi militari. Molti, infatti, furono gli edifici utilizzati a questo scopo, come Villa Simonini (oggi Hotel Laurin), che ospitava il Ministero degli esteri; Villa Amadei, sede del Ministero della Cultura popolare; l’edificio del liceo scientifico “Fermi”, dove si era stabilito un reparto della Legione autonoma “Muti” e della Decima Mas; la Casa del Fascio (oggi sede di un bar) che era a disposizione della Guardia di Mussolini o l’edificio delle scuole elementari, dove aveva sede l’Agenzia Stefani, l’agenzia di stampa della propaganda fascista. Le tracce della presenza fascista non sono circoscritte solo a Salò ma sono rintracciabili anche nelle frazioni o nei paesi vicini: il Palazzo Terzi a Barbarano ospitò la segreteria personale e politica di Mussolini e il quartier generale delle Forze armate della Rsi; Villa Feltrinelli, a Gargnano, fu la residenza di Mussolini, mentre Villa Cristofori, a Gardone Riviera, ospitò Rudolph von Rahn, il plenipotenziario del Reich in Italia. A causa del pesante controllo germanico, il governo di Salò non ebbe molto credito, né in Italia né all’estero: anche il dittatore spagnolo Francisco Franco, ad esempio, si rifiutò di riconoscerne la legittimità. Accanto ai problemi causati dalla convivenza con l’alleato occupante, il governo repubblicano dovette far fronte alla propria incapacità militare e alla difficoltà di controllare il territorio sottoposto alla propria giurisdizione. La situazione era poi resa ancora più difficoltosa dalla resistenza opposta da quanti non intendevano più accettare il peso di un regime ormai in disfacimento. Nonostante la demagogia con cui Mussolini aveva cercato di rilanciare il fascismo e la Rsi, infatti, l’appoggio della popolazione era decisamente venuto meno: dopo il crollo del fronte nell’aprile 1945 e l’eliminazione degli ultimi tentativi di difesa opposti dai tedeschi, la Repubblica sociale si dissolse in pochissimi giorni.
Il museo, inaugurato nel 1934 nella sede del Palazzo municipale di Salò per onorare i decorati al Valor militare della Grande guerra, venne trasferito nel 1983 nelle sale di Palazzo Fantoni, dove rimase diversi anni. Nel 2015, molti suoi materiali sono stati trasferiti e riallestiti al Centro Culturale Santa Giustina dove oggi ha sede il Museo di Salò – MuSa. Nel vecchio allestimento di Palazzo Fantoni erano esposti cimeli, immagini e documenti relativi ad un periodo piuttosto vasto, che spaziava dall’epoca napoleonica fino alla Seconda guerra mondiale, con una particolare attenzione per il regime mussoliniano, la conquista fascista dell’Etiopia e l’esperienza della Repubblica sociale italiana. La maggior parte del materiale conservato – frutto di donazioni private – era infatti legata al ventennio fascista ed articolata secondo un percorso cronologico che mirava a inscrivere il regime mussoliniano nel più ampio contesto della storia italiana degli ultimi due secoli, pur risultando talvolta segnato da parzialità e lacune. L’allestimento insisteva infatti sull’idea dell’uguale valore dei morti di ogni appartenenza politica, essendo essi caduti per difendere la “patria” dai nemici stranieri e invasori. In questo contesto, anche la lotta di Liberazione veniva interpretata come guerra civile e “scontro fratricida”: alcune bacheche esponevano principalmente i decorati, sia partigiani che fascisti, con medaglie d’oro al valor militare. Al culto dei morti si affiancava dunque il risalto dato alla guerra, intesa come difesa necessaria del suolo patrio, idea resa simbolicamente ancora più rilevante dal fatto che tutte le armi esposte erano ancora funzionanti, solo disinnescate. Nel 2015, in occasione del trasferimento del museo del Nastro azzurro presso il MuSa, si è proceduto a un suo riallestimento, dando maggior spazio alla storia sociale rispetto a quella esclusivamente militare. L’esposizione è ora articolata in tre ambienti: un “corridoio d’onore”, in cui viene presentato il museo, con una serie di uniformi indossate dai soldati italiani nelle guerre dal 1866 al 1945; una “sala espositiva”, in cui 150 anni di storia d’Italia vengono raccontati dal punto di vista socio-militare (dal ruolo dei soldati alla vita quotidiana, dalla propaganda al dissenso), senza però dimenticare le figure dei decorati al valore; infine una sala “armeria” in cui sono concentrate le armi, esposte nella loro evoluzione storica. Al terzo piano sono poi raccontate le vicende della Rsi, evocate attraverso un percorso multimediale composto di pannelli, video e infografiche. I dati storici sono fissati nella tragicità degli eventi e delle cifre dai pannelli, mentre i filmati consentono di leggere le vicende dal doppio e contrapposto punto di vista di chi ‒ all’arrivo della cartolina precetto dopo l’8 settembre ‒ entrò nell’esercito della Rsi e di chi invece diventò partigiano. Un pulsante nero e uno rosso consentono di ascoltare entrambe le versioni sui fatti accaduti, lasciando al visitatore la possibilità di scegliere di volta in volta quale racconto ascoltare. La narrazione – curata da Roberto Chiarini – è dunque volutamente concentrata sulle diverse scelte individuali che, acriticamente, vengono poste sullo stesso piano, come se non ci fossero differenze sul piano ideale e valoriale. Anche in questo allestimento, infatti, il punto centrale del percorso è solo il tema della “guerra civile”, reso attraverso il racconto di quattro testimoni del tempo, due partigiani e due fascisti, protagonisti sui due fronti opposti di quella guerra.
Fondazione museo storico del Nastro azzurro
Fondazione Opera pia Carità laicale (Musa)