Area attrezzata della Benedicta

Piemonte | Bosio (AL)

Il luogo e le vicende

Fin dai primi giorni dopo l’8 settembre 1943, la zona compresa tra la Valle Stura e la Valle Scrivia (tra la Liguria e la provincia di Alessandria) ‒ e in particolare le vallate intorno al monte Tobbio ‒ furono meta di soldati sbandati e poi di renitenti alla leva fascista. Nella primavera 1944 vi operavano già due formazioni partigiane, la 3ª Brigata Garibaldi “Liguria” e la brigata Autonoma “Alessandria”, entrambe male armate e ancora impegnate in una delicata fase di addestramento. Anche il territorio su cui esse si insediarono non era ottimale per le esigenze della guerriglia: montagnoso e relativamente brullo, non offriva grandi possibilità né di manovra né di sostentamento; l’unico vantaggio era la presenza di una serie di casolari adibiti a cascine che potevano offrire rifugio, tra cui, appunto, quella detta Benedetta, o Benedicta, originariamente un monastero dove si era insediata l’intendenza della 3ª Brigata Garibaldi “Liguria”. Nonostante le difficoltà logistiche, i partigiani delle due brigate non restarono inattivi e, già in quei primi mesi, organizzarono svariati attacchi a caserme e presidi fascisti della zona, allo scopo di procurarsi armi e munizioni, e tesero diverse imboscate ad automezzi tedeschi in transito. A questa attività non corrisposero però né un’adeguata organizzazione dei reparti, né un coordinamento efficiente tra di essi, lacune che si dimostrarono drammatiche nell’aprile 1944, quando più di duemila ufficiali e soldati della Wehrmacht, coadiuvati da circa trecentocinquanta uomini della Gnr e da bersaglieri dell’esercito fascista repubblicano, investirono la zona con un rastrellamento di vaste dimensioni. Questa operazione, di gran lunga sproporzionata rispetto alle reali forze e capacità militari partigiane, rientrava in un più ampio disegno strategico della guerra tedesca: il comando della Wehrmacht, infatti, riteneva probabile uno sbarco angloamericano nel Mediterraneo nordoccidentale, nella Francia meridionale oppure sulle coste ligure o toscana settentrionale e, in questa eventualità, i luoghi minacciati sarebbero stati quelli dotati di una buona attrezzatura portuale: Genova o Livorno. Data la struttura orografica della costa, che rendeva impossibile schierare una quantità sufficiente di truppe tra le montagne e il mare, nei piani difensivi tedeschi fu prevista la collocazione di due divisioni oltre le montagne, che sarebbero poi intervenute in tutta fretta contro la testa di ponte angloamericana. Per la Wehrmacht, dunque, l’annientamento delle formazioni partigiane in quella zona non era necessario tanto per la loro pericolosità, quanto per l’esigenza di non avere ostacoli nell’eventualità di dover transitare con la massima celerità attraverso quelle montagne, sulle strade che collegavano il litorale con l’entroterra . L’operazione scattò il 6 aprile e si risolse in una disfatta per le forze partigiane: le due brigate vennero accerchiate e sorprese e i loro collegamenti vennero subito a mancare. La 3ª Brigata si disperse in piccoli gruppi che riuscirono a sganciarsi mentre il comandante della Brigata “Alessandria”, Gian Carlo Odino, fece ripiegare i suoi uomini verso il cascinale della Benedicta, in forza di un accordo di collaborazione fra le due Brigate nel caso di estremo pericolo. Tuttavia, tra il 6 e l’11 aprile tutta la zona rastrellata fu teatro di esecuzioni sommarie e, alla ritirata delle truppe naziste e fasciste, oltre centocinquanta furono i fucilati e oltre duecento i prigionieri. Sbandati e dispersi tutti gli altri, contro appena quattro morti e ventiquattro feriti lamentati dai rastrellatori. Dei morti partigiani, trenta morirono in combattimento, gli altri furono fucilati dopo la cattura in diverse località dai bersaglieri della Rsi. Dei prigionieri, diciassette furono trasferiti nelle carceri di Genova, tra cui il comandante Odino, e poi fucilati al passo del Turchino il 19 maggio successivo, gli altri vennero inviati pochi giorni dopo al campo di concentramento di Mauthausen e dei centonovantuno uomini là deportati, solo una trentina sopravvisse allo sterminio. Dalla stazione di Novi Ligure vennero deportati anche centosessanta giovani della zona rastrellati per il lavoro coatto nel Reich che, sebbene accompagnati da una scorta militare, riuscirono a fuggire durante una lunga sosta a Sesto San Giovanni grazie all’appoggio dei ferrovieri e della popolazione locale. Il rastrellamento della Benedicta, per il suo esito catastrofico in caduti e deportati e per lo strascico che lasciò in una zona appenninica già sottoposta a pesanti fenomeni di spopolamento, impressionò a fondo i contemporanei e conquistò un suo spazio nella storiografia della Resistenza.
Il cascinale della Benedicta, situato nel Comune di Bosio, nel cuore del Parco Regionale Capanne di Marcarolo, rappresenta uno dei luoghi più importanti nella storia della Resistenza alessandrina. Abbazia benedettina nel Medioevo, centro della proprietà terriera degli Spinola-Pizzorno in età moderna, nella primavera del 1944, quando terminò il grande rastrellamento tedesco e fascista sull’Appennino ligure-alessandrino, la Benedicta fu fatta saltare in aria con la dinamite. Nel dopoguerra i ruderi del cascinale vennero lasciati in uno stato di abbandono, che provocò un progressivo degrado ambientale e una quasi completa cancellazione dei segni della violenza fascista. Solo negli anni Sessanta, a poche decine di metri dai ruderi del cascinale, nel luogo della fucilazione le famiglie dei partigiani uccisi costruirono una cappella e l’Amministrazione provinciale vi allestì un sacrario con grandi lapidi che riportavano i nomi dei fucilati. Oltre trent’anni dopo, nel 1999, per iniziativa di enti locali, istituti culturali e associazioni partigiane venne costituito un Comitato per il recupero e la valorizzazione della Benedicta, con lo scopo di promuovere la conoscenza e la valorizzazione del sito storico che fu teatro dell’eccidio. Per prima cosa, questo comitato si occupò di ripulire, restaurare e consolidare i ruderi del cascinale distrutto nel corso del rastrellamento. Poi vi allestì pannelli didattici per raccontare ai passanti, dopo tanti anni, la storia di quei ruderi. La notte tra il 5 e il 6 novembre 2002, il sacrario e la cascina furono vittime di un atto vandalico: vennero divelti i cartelloni documentari, deturpate le lapidi commemorative con i nomi dei caduti e distrutto l’altare della cappella eretta nei pressi. Un anno dopo, nel novembre 2003, il comitato si è trasformato in Associazione Memoria della Benedicta con l’obiettivo di gestire e promuovere la zona monumentale, destinandola ad attività culturali anche attraverso la progettazione di un museo e di un centro di documentazione dedicato ai temi della guerra, della Resistenza e della deportazione. Nel gennaio 2006 una legge regionale ha finalmente promosso la costruzione di questo Centro di documentazione che dovrebbe raccogliere le testimonianze e i materiali d’archivio relativi alla guerra e alla lotta partigiana nell’Appennino ligure-piemontese, pubblicazioni e strumenti audiovisivi. Il centro, tuttavia, non è ancora stato completato. Nel frattempo, però, in collaborazione con l’Istituto per la storia della Resistenza e della società contemporanea in provincia di Alessandria (ISRAL), l’Associazione Memoria della Benedicta ha realizzato una mostra temporanea di pannelli nella zona antistante il complesso monumentale e, con l’apporto del Dipartimento di Storia Contemporanea dell’Università degli Studi del Piemonte Orientale “A. Avogadro” di Alessandria, è stato realizzato un “Sentiero della pace” che consente agli studenti di conoscere e riflettere sul valore della pace prima e dopo l’eccidio della Benedicta. Gli operatori della stessa associazione, inoltre, svolgono attività di guida sui luoghi teatro degli avvenimenti dell’aprile 1944 e lungo i tracciati dei sentieri partigiani che collegavano tra loro i vari distaccamenti e questi con la Benedicta. A questi itinerari interni al Parco naturalistico delle Capanne di Marcarolo si aggiunge poi il sentiero attrezzato del Parco della pace, lungo mulattiere che attraversano boschi, pascoli e ruscelli e collega sei cascine.
Regione Piemonte – In gestione all’Associazione Memoria della Benedicta Piazza della Libertà, 17 15121 Alessandria.