Friuli Venezia Giula | Trieste (TS)
- resistenza nelle città,deportazione e internamento
Il luogo e le vicende
Quando, dopo l’8 settembre 1943, fu creata la Operationszone Adriatisches Küstenland (OZAK o Zona di operazioni del Litorale Adriatico), la Venezia Giulia divenne parte di un territorio direttamente amministrato dal Reich, comprendente anche le province di Udine, Gorizia, Fiume e Lubiana. In quel periodo la risiera ‒ stabilimento per la pilatura del riso dal 1898 ‒ fu utilizzata come Polizeihaftlager, cioè come centro di partenza e rifornimento per i capisaldi tedeschi in Istria. Successivamente, dal dicembre 1943, essa si trasformò in campo di concentramento e di transito per prigionieri e, dall’inizio del 1944, in Vernichtungslager, in luogo di sterminio sistematico per i prigionieri catturati a Fiume, Trieste, in Veneto, sul Carso e in Istria. Nel campo sono stati detenuti ed eliminati sloveni, croati, partigiani, antifascisti, prigionieri politici ed ebrei. La risiera fu dunque un campo di eliminazione dove hanno trovato la morte fra le 3.000 e le 5.000 persone, ma anche – e principalmente – un campo di smistamento e di avviamento allo sterminio. Dei 123 convogli che partirono dall’Italia verso i campi di sterminio nazisti ben 69, infatti, mossero da Trieste, cui se ne aggiunsero 30 diretti ai campi di lavoro. Si calcola che furono circa 25.000 i deportati nei campi di Buchenwald, Dachau e Auschwitz. Naturalmente, i tedeschi non furono soli in quest’attività ma lavorarono con l’appoggio e il concorso dell’Ispettorato speciale di Pubblica sicurezza per la Venezia Giulia. Questo raggruppamento di polizia ‒ creato nell’aprile del ’42 con lo specifico compito controllare la classe operaia nelle grandi fabbriche e di reprimere la guerra partigiana ‒ divenne tristemente noto come “Banda Collotti”, dal nome del suo comandante, il commissario Gaetano Collotti. La banda continuò ad agire anche dopo l’8 settembre fornendo ai tedeschi una preziosa collaborazione contro gli antifascisti e nella cattura degli ebrei, grazie alla conoscenza del territorio ed agli informatori sui quali poteva contare. I nazisti iniziarono ad utilizzare l’essiccatoio della risiera dai primi mesi del 1944, affidandone in seguito il riadattamento in forno crematorio al “tecnico” delle SS Erwin Lambert. La costruzione venne sperimentata il 4 aprile 1944 con la cremazione di una settantina di cadaveri di ostaggi fucilati il giorno prima in località Villa Opicina, nei pressi di Trieste. Nella notte tra il 29 e il 30 aprile 1945, mentre i reparti partigiani jugoslavi del IX Korpus conquistavano Trieste, i nazisti in fuga tentarono di eliminare le prove dei loro crimini abbattendo con esplosivi il forno crematorio e la connessa ciminiera. In seguito, tra i detriti e le rovine, furono ritrovate ossa e ceneri umane.
La Risiera di San Sabba è l’unico dei quattro campi nazisti in Italia ad essere designato “Memorial”, cioè monumento commemorativo. La sua unicità è tristemente tale anche perché è l’unico lager in Italia ad essere provvisto di un forno crematorio. Così, il 15 Aprile 1965, il complesso fu dichiarato monumento nazionale. L’anno seguente, il 18 gennaio 1966, il comune di Trieste diffuse un bando di concorso nazionale per il progetto di un “Museo della Resistenza nella Risiera di San Sabba”. Il vincitore del concorso fu proclamato il 4 febbraio 1969 e nell’aprile 1972 vennero iniziati i lavori: la commissione aveva scelto il progetto dell’architetto triestino Romano Boico che ha riallestito la zona seguendo un percorso tematico sulla memoria dei luoghi di internamento e sterminio e ha cercato di mantenere gli edifici originari. La distruzione operata dai nazisti in fuga, la successiva trasformazione in campo profughi per gli esuli giuliano-dalmati nel 1945 e la seguente ristrutturazione e trasformazione della Risiera in Monumento nazionale, infatti, avevano trasformato molto la struttura originale. Oggi, l’accesso avviene attraverso due mura parallele alte undici metri, lunghe quarantacinque e distanti tra loro solo tre metri che mirano a suscitare nel visitatore un senso di oppressione e di strada senza uscita, e a predisporre il suo animo alla riflessione e al raccoglimento necessari per onorare questo luogo sacro. Il visitatore ripercorre così il percorso che conduceva i prigionieri verso l’ingresso del lager. Un enorme cancello scorrevole in acciaio posto all’inizio del tunnel ribadisce il concetto che questo luogo della memoria riassume: la libertà negata. L’edificio a quattro piani che dà sul cortile interno denominato “Sala delle Croci”‒ che conteneva i prigionieri civili e militari che avrebbero subito in seguito la deportazione nei Lager nazisti ‒ è stato sventrato dal progetto di Boico: sono stati abbattuti i tre tavolati dei solai e la visuale propone, interminabile, e da tutti i punti di vista, una serie di croci a memoria dei prigionieri. Grazie ad alcune importanti donazioni, dal 27 gennaio 2002, Giorno della Memoria, il Museo ha mutato la sua originale connotazione didattica ed è divenuto, a tutti gli effetti, un luogo di conservazione della memoria, ove sono esposte testimonianze tangibili della storia della deportazione dall’Italia.
Nella “Sala delle Croci”, infatti, in bacheche incorporate nel muro, sono stati ricoverati alcuni oggetti personali razziati dai nazisti agli ebrei triestini. Ritrovati dagli Alleati all’interno di bisacce di juta, erano stati in seguito spediti a Roma e lì dimenticati per decenni in un sotterraneo del Ministero del Tesoro. Nel 2000 sono stati finalmente restituiti alla Comunità Ebraica di Trieste, che ha deciso di esporne parte nel proprio Museo e di donarne una piccola ma significativa selezione al Civico museo della Risiera di San Sabba e al Museo “Yad Vashem” di Gerusalemme. Orologi, occhiali, pettini, portacipria, spille, alcune posate: semplici oggetti personali d’uso quotidiano che, proprio attraverso la loro “normalità”, parlano degli uomini e delle donne che li hanno posseduti, rendendo ancora più vicino il dramma di tante vite tragicamente interrotte nel loro altrettanto “normale” fluire. Di fronte alla “Sala delle Croci”, nel cortile interno, era situato il forno crematorio. Distrutto dall’esplosione dei nazisti in fuga e dalla successiva eliminazione di tutti i detriti, esso è comunque visibile e immaginabile dall’impronta che Boico ha voluto segnare nell’area in cui esso sorgeva con una piastra d’acciaio mentre il selciato della corte è stato volutamente rimesso in opera con lastroni di arenaria. Sull’impronta metallica della ciminiera sorge oggi una simbolica Pietà, costituita da tre profilati metallici, che simboleggiano la spirale di fumo che usciva dal camino. Dando le spalle alla Pietà, il visitatore può entrare nell’edificio centrale di sei piani, un tempo adibito a caserma per i soldati tedeschi, che ora contiene documenti e cimeli ed è anche spazio espositivo per le molteplici mostre temporanee. Tra i documenti conservati nella sala è doveroso ricordare la copia di una mazza, rinvenuta tra le macerie, che era uno dei mezzi usati dai nazisti per uccidere i prigionieri. L’originale è stato trafugato nel 1981. All’interno del Museo hanno trovato collocazione le donazioni della sezione locale dell’Associazione nazionale ex deportati (ANED) e di alcuni suoi membri triestini. Limitrofo all’attuale museo vi è l’edificio che un tempo serviva come autorimessa per i mezzi delle SS, oggi contenente il percorso fotografico e documentario della mostra storica realizzata a cura dello studioso triestino Elio Apih nel 1982, successivamente ampliata nel 1998. Il percorso, attraverso riproduzioni di documenti e testimonianze di vario tipo, illustra la storia della Risiera, e ricostruisce al contempo un quadro delle vicende storiche, politiche e militari dell’intera regione durante la prima metà del Novecento.
- Visite guidate
- Attività didattiche
- Sala conferenze
- Supporti Audiovisivi
- Mostre itineranti guide tiflotattili per ipovedenti e non vedenti
- attività di ricerca e raccolta documentaria di testimonianze
- Biblioteca specialistica
- Archivio documentario
- Via Giovanni Palatucci,5 - Trieste (TS)
- 040826202 Museo
- risierasansabba@comune.trieste.it
- www.risierasansabba.it
- Enzo Collotti, Il Litorale Adriatico nel Nuovo Ordine Europeo 1943-1945, Vangelista, Milano 1974.
- Ferruccio Fölkel, La Risiera di San Sabba: Trieste e il litorale adriatico durante l'occupazione nazista, Mondatori, Milano 1979.
- Primo Levi, I sommersi e i salvati, Einaudi, Torino 1986.
- Adolfo Scalpelli (a cura di), San Sabba. Istruttoria e processo per il Lager della Risiera, Mondadori, Milano 1988.
- Sergio Kostoris, Risiera di San Sabba: monumento nazionale, Civici musei, Trieste 1995.
- Civico Museo della Risiera di San Sabba, Capire la Risiera. A Trieste un lager del sistema nazista, Comune di Trieste, Trieste 1996.
- Tristano Matta, Un percorso della memoria: guida ai luoghi della violenza nazista e fascista in Italia, Istituto regionale per la storia del movimento di liberazione nel Friuli-Venezia Giulia, Electa, Trieste – Milano 1996../div>
- Galliano Fogar, Trieste in guerra, 1940-1945. Società e resistenza, Istituto regionale per la storia del movimento di liberazione nel Friuli-Venezia Giulia, Trieste 1999.
- Massimo Mucci, La Risiera di San Sabba a Trieste. Un'architettura per la memoria, Libreria Editrice Goriziana, Gorizia 1999.
- Elio Apih, Risiera di San Sabba. Guida alla mostra storica, Civici musei di Trieste, Trieste 2000.